• Ente di Formazione Accreditato dalla Regione Lazio determina n. G10445C
  • Ente accreditato presso l'Ordine Nazionale dei Giornalisti come Ente Terzo Formatore
  • Ente iscritto all’Anagrafe Nazionale delle Ricerche del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con n. 001374_ALTR
 

Figli in guerra contro i genitori – di Claudio Mariani

Figli in guerra contro i genitori – di Claudio Mariani

Sono sempre più frequenti i casi di cronaca che raccontano storie di incredibile violenza dei figli nei confronti dei loro genitori ed è comprensibile lo sconcerto che possano suscitare.
All’indomani di una tragedia familiare e durante le settimane successive, i giornali si affannano nel descrivere i dettagli più morbosi e gli studi televisivi si affollano di esperti e opinionisti che tentano di dare risposte all’interno delle quali ognuno di noi possa leggere la speranza che quei fatti non ci riguardino mai da vicino.
Dopo di che l’oblio: non ci sono più particolari da rivelare, l’interesse lentamente svanisce, i media ne parlano meno e tutti noi siamo pronti per la prossima tragedia!
E’ un percorso ormai collaudato e quasi terapeutico: lo sconcerto e la paura dei primi momenti infatti genera il bisogno di un rituale anestetizzante, ma l’analgesico lenisce i sintomi e non guarisce mai una patologia!
Non abbiamo certamente noi la pretesa di conoscere tutte le risposte che consentano di curare il “male di vivere” che sta contagiando molti giovani, ma forse non dovremmo mai smettere di porci le domande necessarie per conoscere e prevenire le cause del disagio.
E’ doveroso considerare preliminarmente che una buona terapia non può prescindere da una buona diagnosi, ragione per cui all’indomani di una tragedia familiare non è funzionale mettere all’interno dello stesso contenitore tutta una serie di comportamenti simili nell’esito finale ma sostanzialmente differenti all’origine.
Senza voler semplificare eccessivamente ma per essere concreti e comprensibili, dovremmo distinguere una lunga serie di motivazioni che possano aver indotto un figlio ad aggredire e financo ad uccidere i suoi genitori, tutte certamente non condivisibili ma che ci aiuterebbero a comprendere il problema e proporre una sana e più efficace prevenzione.
Un figlio infatti può uccidere per odio e rancore accumulato nel tempo nei confronti di un genitore dal quale si sente continuamente vessato e giudicato; o al contrario si può uccidere per un eccesso di amore malato e per la paura di deluderli (possiamo infatti ricordare diversi casi di figli che non avevano avuto il coraggio di comunicare in casa di non aver sostenuto neanche un esame all’università); ma si può uccidere anche per il desiderio di libertà e autonomia quando ci si sente oppressi da un regime di regole soffocanti; al contrario in caso di anomia e assenza di regole anche un raro diniego diventa causa di frustrazione difficile da tollerare e di emozioni impossibili da regolare; ci sono poi quei casi di natura sistemica, dove la tragedia affonda le sue radici in disfunzioni familiari o casi di violenza subita o assistita; quante volte infine è la combinazione di diversi fattori di rischio quali complessi edipici irrisolti, l’incapacità di inibire gli impulsi, il mancato riconoscimento delle figure genitoriali, il narcisismo ferito ecc. ecc. a creare la miscela esplosiva.
Per quanto debba considerarsi necessariamente patologica ogni manifestazione aggressiva e violenta nei confronti di chiunque consumata, è comunque riduttivo un approccio che tenda a prendere in esame esclusivamente le connotazioni psicotiche, o borderline o bipolari, tutte patologie che esigono una serie di interventi mirati, specifici e di natura terapeutica che comportino una ristrutturazione esistenziale dei soggetti che ne sono affetti; ma oltre ad un prezioso approfondimento psicologico sarebbe altrettanto opportuno ed utile un approccio sociologico e antropologico nella disamina di tanti episodi.
Innanzi tutto è bene ricordare che i meccanismi di rifiuto e opposizione all’ambiente sono fenomeni presenti in ogni generazione: basti esaminare il ricordo dei “giovani arrabbiati” di John Osborne o il film “Gioventù bruciata” con James Dean degli anni ’50, o il “sesso, droga e rock and roll” degli anni ’60 o la deriva della lotta armata e del terrorismo degli anni ’70, tutti periodi storici che possiamo ricordare per non scoraggiarci al pensiero che possa trattarsi di una dinamica nuova e sconosciuta; quel che dovremmo comprendere sono le nuove insidie che si manifestano con le vecchie dinamiche.
Tra le cause più frequenti di ribellione di tutte le epoche vi è un irrefrenabile bisogno di libertà: alcune regole non vengono interpretate come funzionali ma come limite al proprio bisogno di esprimersi e di comunicare; i ragazzi crescono in contesti familiari egodistonici dove la comunicazione è per lo più costituita da messaggi ambigui, da lunghi silenzi, da comportamenti incoerenti, donde la graduale mancanza di credibilità del mondo degli adulti e il mancato riconoscimento del ruolo dei genitori.
Spesso accade che i genitori abdichino al loro ruolo sperando che siano altre agenzie educative a maturare i loro figli: la scuola, i circoli sportivi, gli oratori delle parrocchie, la strada; di fatto i figli vivono dentro casa come graditi ospiti e si consente loro tutto o quasi fino a quando la corda si spezza e allora si cambia registro all’improvviso; ma loro non sono pronti, anzi rimangono quasi sorpresi e questo improvviso mutamento viene percepito come un tradimento e come un attacco sferrato contro di loro, contro i loro amici e il loro modo di vivere e la reazione può essere devastante. In alcuni di loro la fragilità strutturale può scatenare reazioni incontrollabili: ma le cause di fragilità possono essere le più disparate e non solamente legate al temperamento o al processo evolutivo, ma sono fragili anche perché mai abituati al concetto di famiglia come piccola comunità, fragili perché mai abituati al senso di responsabilità, fragili perché mai abituati a collaborare o a camminare verso una direzione comune.
Nella maggior parte dei casi emerge evidente una bassa autostima e una scarsa tolleranza alle frustrazioni e laddove sono presenti altri elementi sistemici si crea una miscela che prima o poi esplode fragorosamente.
E quindi, anziché meravigliarci all’indomani di un ennesimo fatto di cronaca e ripercorrere il consueto rituale anestetizzante, potremmo riflettere sulle vecchie cause di ribellione e sulle nuove modalità per affrontarle.
Oltre all’approccio psicologico che laddove necessario costituisce sicuramente l’opportunità terapeutica più adeguata per i casi complessi ma già evidenti, potremmo lavorare ad una serie di interventi preventivi che ci mettano nella condizione di ripensare il tessuto umano e sociale per prevenire le esplosioni fragorose.
Viviamo in una società sempre più competitiva che divide le persone in vincenti e perdenti, furbi e sciocchi, ambiziosi e sfigati e i nostri giovani affrontano la vita come se fosse una sfida continua piuttosto che un contesto dove cooperare; spesso si sentono inadeguati o incapaci e cresce in loro la paura di non essere all’altezza; all’altezza del mondo del lavoro, delle relazioni con gli altri, dei rapporti sentimentali; sfiducia in sé stessi e paura del futuro diventano un cocktail micidiale per le persone più fragili e con bassa autostima. Una società solidale invece dovrebbe condividere sia le risorse che le difficoltà, dovremmo condividere e restituire ai bambini gli spazi che consentano loro di relazionarsi con gli altri ed esprimersi anche fisicamente (una volta esistevano i cortili dei palazzi che oggi vengono occupati solo dalle auto o peggio ancora i regolamenti dei condomini vietano l’accesso ai bambini perché “disturbano”); negli anni si va sempre più consolidando il concetto che non sia importante la quantità ma la qualità del tempo che dedichiamo ai nostri figli … non è sempre così: i bambini hanno i loro tempi e non sempre sono compatibili con i nostri, ma loro sono i nostri figli e non ci hanno chiesto di venire al mondo; se li abbiamo concepiti dobbiamo anche assumere la responsabilità di crescerli e di educarli.
Ma educarli non significa invitarli ad un corso di formazione; educare etimologicamente viene da e-duco che letteralmente significa condurre fuori da … ed è proprio quel che propone da sempre la natura ai cuccioli quando li conduce fuori dalla tana: non si presentano concetti astratti ma comportamenti ed esempi concreti grazie ai quali i cuccioli imparano ad abbeverarsi alle sorgenti, a procurarsi il cibo, a difendersi o fuggire davanti ai pericoli.
Man mano che crescono possiamo aiutarli a sognare, senza mai mortificare una qualsivoglia passione e consentire loro di coltivare i loro interessi più che i nostri o aspettarci da loro quel che avremmo voluto diventare noi; possiamo imparare a discernere tra passione e ossessione; una passione ti fa stare bene (penso a tutte quelle attività che ti proiettano verso un sogno); un’ossessione invece è una fuga o una difesa (penso ad esempio a chi esaspera il culto del proprio corpo per apparire e nascondere la propria insicurezza).
E’ importante poi rigenerare la cultura secondo la quale il rispetto delle regole è funzionale alla protezione delle persone e dei loro interessi e non per evitare le multe … il vecchio cartello “non calpestare le aiuole” consente di vivere in un ambiente più gradevole e al tempo stesso di rispettare il lavoro di chi lo mantiene; rivalutare questi messaggi crea gli anticorpi in assenza dei quali siamo più esposti al timore delle regole piuttosto che al rispetto delle stesse: in questi tempi di pandemia ad esempio, l’obbligo delle mascherine o i divieti alla movida serale non sono un limite alla propria libertà ma un cammino responsabile per difendere la salute di tutti e per riattivare quanto prima una ripresa economica e produttiva.
E’ evidente che laddove le situazioni individuali si presentassero più delicate e complesse, anche in presenza di alcune comprensibili lacune da chiunque causate, più che concentrarci sulle colpe dovremmo avere il coraggio di chiedere aiuto: e a volte, anche se doloroso, è necessario ammettere i nostri errori.
In conclusione il mestiere dei genitori è il più difficile da sempre e non esistono scuole per diventare bravi genitori, ma proprio per questo è opportuno un approccio che coniughi contestualmente gli aspetti psicologici, sociologici e antropologici: una comunità infatti non si fonda sulle ricette di pochi esperti ma sulla partecipazione di tutti i suoi componenti.
Non sarà mai un percorso facile ma ci conforterà sempre l’amore per i nostri figli, anche quando li sentiremo ostili e distruttivi; spesso saremo tentati di mollare ma quello è proprio il momento di restare … Telemaco avrebbe sicuramente preferito un genitore a volte incapace ma dentro casa tutti i giorni a litigare con lui piuttosto che un eroe sempre assente!
Avv. Claudio Mariani
Direttore Area Criminologia,                                               
Vittimologia e Studi Penitenziari del CSC

Bibliografia:
Laing e Esterson – Normalità e follia nella famiglia – Einaudi 1964;
Bettelheim – Un genitore quasi perfetto – Feltrinelli 1987;
Margolin Baucom – Adolescents’ aggression to parents – 2014;
Watzlawick Beavi Jackson – Pragmatica della comunicazione umana – Astrolabio 1967;
Maggiolini e Di Lorenzo – Scelte estreme in adolescenza – Franco Angeli 2018.

Articolo pubblicato su EuNomika – http://www.eunomika.com/2021/03/27/figli-in-guerra-contro-i-genitori/

21/05/2021
© Criminologi.com All rights reserved.